Nel 1965, Giorgio Celiberti, già affermato nel panorama artistico internazionale, visse un’esperienza che avrebbe segnato per sempre il suo percorso umano e creativo.

La visita al lager di Terezin, vicino a Praga, non fu solo un incontro con i resti di un capitolo oscuro della storia, ma una profonda immersione in un dolore collettivo che, attraverso l’arte, avrebbe trovato nuova voce.

terezin 1965

Un momento di svolta personale e artistica

Terezin non era un campo di sterminio come Auschwitz, ma un ghetto-campo di transito, tristemente noto per essere stato trasformato dai nazisti in un inganno propagandistico. Tuttavia, dietro la facciata, si consumava una tragedia senza precedenti. Migliaia di bambini vi furono imprigionati prima di essere deportati e uccisi nei campi di sterminio. Le loro voci, affidate a graffiti, disegni e poesie, divennero per Celiberti un’eredità visiva ed emotiva.

Lì ho scoperto il significato del segno, della traccia lasciata per resistere al nulla“, dichiarò Celiberti in un’intervista. Quella visita non fu solo un momento di riflessione, ma l’origine di una nuova poetica che avrebbe ridefinito la sua arte, rendendola testimonianza e denuncia.

L’arte come memoria

Dopo Terezin, la produzione artistica di Celiberti cambiò profondamente. Nei suoi dipinti e nelle sue sculture iniziarono ad apparire segni che evocavano le testimonianze infantili del lager: figure stilizzate, lettere, incisioni. Elementi che, pur nella loro semplicità, racchiudevano un’intensità universale.

Come ha osservato la storica dell’arte Simona Bartolena, Celiberti trasformò il suo linguaggio pittorico, avvicinandosi ai territori di artisti come Burri e Tàpies, ma mantenendo una cifra espressiva profondamente personale. I “Muri Antropomorfi” e le “Stele” evocano frammenti di storia incisi nella materia, memorie che non vogliono sbiadire.

Un’eredità che vive nel tempo

La forza delle opere ispirate a Terezin ha attirato l’attenzione di critici, collezionisti e giornalisti in tutto il mondo. Recentemente, durante una mostra a Praga per commemorare quel viaggio, l’europarlamentare Martina Dlabajová ha descritto l’arte di Celiberti come “capace di cambiare prospettive, provocare e ispirare chiunque la osservi“.

Celiberti non si è limitato a rappresentare il dolore: lo ha trasformato in un linguaggio universale che ci invita a ricordare, riflettere e agire. La sua opera non è solo memoria, ma anche speranza, un ponte tra passato e futuro che ci ricorda come l’arte possa essere una potente arma contro l’oblio.

Terezin ha trasformato Giorgio Celiberti in un narratore dell’indicibile, un portavoce delle voci spezzate del passato. Le sue opere continuano a parlare a un pubblico globale, dimostrando che l’arte, quando guidata dalla memoria e dalla compassione, può superare i confini del tempo e dello spazio.

Se vuoi scoprire il mondo di Celiberti e immergerti nella forza del suo messaggio, il suo studio a Udine è il luogo ideale. Ogni opera racconta una storia, ogni segno è una testimonianza che attende di essere ascoltata.